1.
All'epoca della pubblicazione, Il Cosmo Intelligente suscitò un certo scalpore. Il motivo si può capire facilmente leggendo l'ultimo paragrafo: "Il fatto stesso che l'universo è creativo, e che le sue leggi hanno consentito la comparsa e lo sviluppo di strutture complesse fino al livello della coscienza - in altre parole, il fatto che l'universo ha organizzato la propria autoconsapevolezza - è per me una prova considerevole che "vi è qualcosa" dietro a tutto ciò. L'impressione dell'esistenza di un disegno globale è schiacciante. La scienza può spiegare tutti i processi per mezzo dei quali l'universo si costruisce il proprio destino, ma ciò lascia comunque aperta la possibilità che vi sia un significato oltre l'esistenza." (p. 261)
Nonostante Davies, fisico di professione, abbia rivendicato alla scienza, poche righe prima, il compito di colmare le lacune ancora aperte nella conoscenza della natura ("In questo libro ho sostenuto il punto di vista che l'universo può venire compreso applicando il metodo scientifico. Mentre mettevo in evidenza i difetti di una visione puramente riduzionista della natura, intendevo dire che i vuoti lasciati dalle inadeguatezze del pensiero riduzionista dovrebbero essere riempiti da teorie scientifiche aggiuntive concernenti le proprietà collettive e organizzative dei sistemi complessi, e non facendo appello a principi mistici o trascendenti." (p. 260), il riferimento al "qualcosa" è stato immediatamente raccolto dai credenti e dalla Chiesa. La scienza che con Galileo e Newton, entrambi peraltro credenti, aveva inferto alla fede un colpo micidiale, trasformando l'Universo in una macchina regolata da leggi sue proprie e relegando l'uomo e la terra in una posizione assolutamente periferica, e che, con il secondo principio della termodinamica, aveva preconizzato la regressione del Cosmo verso uno stato di disordine totale e definitivo; la fisica, insomma, la più materialista tra le scienze naturali, tornava all'ovile dichiarando l'esistenza di un disegno cosmico e, quindi, se non addirittura di un Creatore, di un Ingegnere.
Quel "qualcosa" è stato raccolto anche dalla schiera già numerosa, e che da allora in poi si è infittita, di coloro che, per non assoggettarsi all'antropocentrismo di un Dio personale e ai dogmi ecclesiali, andava praticando la "religione" new-age, una confusa miscela di credenze che, sulla base di principi tratti dalle filosofie orientali, fa del benessere psicofisico individuale, inteso com'espressione di una partecipazione "mistica" del soggetto alla totalità del Cosmo, un valore assoluto.
Il saggio di Davies, benchè divulgativo, è serio e documentato. Esso attesta l'inconfutabile necessità di superare il paradigma analitico e riduzionista, che ha dominato le scienze naturali dal '600 in poi in nome di un nuovo paradigma sintetico e olistico, adeguato a spiegare la tendenza della natura ad evolvere producendo strutture sempre più complesse. Nello stesso tempo, esso denuncia il fatto che questo nuovo paradigma non ha ancora trovato a livello scientifico una sistemazione teorica adeguata, configurandosi dunque come una nuova frontiera dell'impresa scientifica.
La struttura concettuale del saggio è difficile da sintetizzare per l'abbondanza dei riferimenti scientifici e per un certo disordine espositivo. Mi limiterò pertanto ad estrapolare l'essenziale.
2.
Il conflitto tra olismo e riduzionismo, vale a dire tra una concezione sintetica della Natura che vede in essa e nella sua organizzazione l'espressione di un disegno o di un progetto e una concezione analitica che vede nel Tutto la semplice somma di parti elementari, precede lo sviluppo della scienza moderna. Apparso in Grecia, in conseguenza della contrapposizione tra la teleologia di Aristotile e l'atomismo di Democrito, esso è stato per secoli risolto dalla teologia cristiana a favore di una concezione olistica che identificava in un Dio creatore l'autore del Cosmo e di un progetto ad esso intrinseco.
La nascita della fisica, con Galilei e con Newton, segna invece il ritorno del riduzionismo. Il paradigma newtoniano, codificato sotto forma di equazioni matematiche, comporta che "il moto di un corpo nello spazio è completamente determinato dalle forze agenti su di esso, una volta fissate la sua posizione e velocità iniziali."(p. 20) Se ciò è vero,"tutto quello che accade nell'universo, fino al più piccolo movimento di ogni singolo atomo, deve essere fissato fin nel minimo dettaglio" (p.22): "il cosmo intero è ridotto a un gigantesco meccanismo, dove ciascun componente esegue servilmente e infallibilmente, con precisione matematica, delle istruzioni preprogrammate." (p. 22) Il futuro, dunque, "è già fissato in ogni più piccolo dettaglio." (p. 22)
Al paradigma newtoniano si aggiunge poi, nell'800, il secondo principio della termodinamica che comporta la definizione di una quantità definita entropia, che è una misura della potenza dell'energia sotto forma di calore. Posto che le trasformazioni energetiche che avvengono nell'universo, "degradano" l'energia, portando l'entropia ad un valore massimo, raggiunto il quale la materia è in uno stato di disordine totale, l'universo è inesorabilmente condannato alla morte termica. Oltre che predeterminato, l'universo è animato da una freccia del tempo che va verso la degenerazione.
A questa visione meccanicistica e sostanzialmente lugubre si oppone il fatto, di esperienza comune, "che l'universo progredisce - attraverso la costante crescita di struttura, organizzazione e complessità - verso stati di materia ed energia sempre più sviluppati ed elaborati." (p. 34) Come sanare questa contraddizione, integrando le conoscenze acquisite attraverso il metodo riduzionista con la realtà di un universo in evoluzione piuttosto che destinato alla morte?
Posto che i cosmologi concordano sul fatto che "l'universo ebbe inizio come una struttura semplice e priva di particolari caratteristiche, ma diventa sempre più complesso con il passare del tempo" (p. 34), il nuovo paradigma deve confrontarsi con la complessità, muovendo dal presupposto che "i sistemi complessi non soddisfano i requisiti della modellistica tradizionale per quattro motivi. Il primo concerne la loro formazione. Spesso la complessità si manifesta bruscamente, piuttosto che per mezzo di un'evoluzione lenta e continua In secondo luogo, spesso (anche se non sempre) i sistemi complessi hanno un gran numero di componenti (gradi di libertà). Terzo, sono raramente sistemi chiusi; in verità, è solitamente il fatto di essere aperti a un ambiente complesso che li aziona. Infine, tali sistemi sono per lo più "non lineari"." (p 37)
Questi quattro motivi sono tutti importanti, ma tra essi ha un assoluto rilievo la non linearità. Un sistema è lineare quando in esso causa e effetto sono legati in modo proporzionale, vale a dire quando al variare della causa varia propozionalmente l'effetto. Posto che si sia in grado d'identificare e di quantificare la causa, l'effetto è univocamente prevedibile in termini di legge. Dato il numero elevato di componenti che partecipano ad essi, che non possono essere tutti identificati e quantificati, un sistema complesso può avere un'evoluzione lineare. In un determinato istante, però, esso può andare incontro ad un cambiamento brusco e imprevedibile, che sita nella riorganizzazione del sistema sotto un'altra forma. Ciò significa che, in un sistema complesso, "il tutto è molto di più della somma delle sue parti, e non può essere analizzato in termini di semplici sottounità che agiscono insieme. Le proprietà risultanti possono spesso essere inaspettate, complicate e intrattabili matematicamente." (p. 40)
Mentre il determinismo legato al rapporto di causa e effetto governa i sistemi lineari, i sistemi complessi appaiono d'acchito indeterministici, passibili cioè di cambiamenti qualitativi repentini e apparentemente inspiegabili. Ciò giustifica il fatto che il loro studio sia stato fatto rientrare nell'ambito della teoria del caos. A differenza dei sistemi lineari, infatti, in essi sembra prevalere il disordine.
3.
L'interesse della scienza per i sistemi complessi deriva dal fatto che, nell'organizzazione della natura, essi sono molto più rappresentati di quelli lineari. La realtà del Cosmo è un mare d'indeterminismo nel quale si danno alcune isole di determinismo. La scienza riduzionista spiega abbastanza bene queste isole, ma è del tutto incapace di confrontarsi con il mare, vale a dire con gran parte dei fenomeni naturali, dallo scorrimento dei liquidi alla coscienza umana, la cui organizzazione, riconoscendo irregolarità, discontinuità e salti, appare caotica.
Dedicandosi a questi fenomeni, la fisica ha scoperto due fatti di fondamentale importanza. Il primo è che il disordine dei sistemi complessi è solo apparente. Esso è il presupposto a partire dal quale si genera un ordine di livello maggiore rispetto a quello originario. Il secondo è che il salto che porta dal disordine all'ordine avviene in virtù del raggiungimento da parte del sistema di un punto critico aperto a sviluppi equiprobabili, dunque non predicibili: tale punto definisce un regime di caos non perché esso è disordinato, bensì perché non consente previsioni deterministiche sullo sviluppo del sistema. In altri termini, "sta diventando sempre più ovvio che i sistemi dinamici hanno in generale dei regimi dove il loro comportamento è caotico. Sembra infatti che un comportamento "ordinario", cioè non-caotico, costituisca più che altro l'eccezione: quasi tutti i sistemi dinamici sono soggetti al caos. L'evoluzione di tali sistemi è estremamente sensibile alle condizioni iniziali, di modo che essi si comportano in maniera essenzialmente impredicibile e, per gli scopi pratici, casuale." (p. 73)
Da un punto di vista scientifico, il termine caos ha un'accezione diversa rispetto a quella corrente: "Benché la parola caos sottintenda qualcosa di negativo e di distruttivo, contiene tuttavia anche un aspetto creativo. L'elemento casuale fornisce ad un sistema caotico una certa libertà di esplorare una vasta gamma di schemi di comportamento." (p. 75) Questo è il fondamento della "creatività" della natura. Essendo l'universo non un sistema meccanico newtoniano, bensì un sistema caotico, esso è aperto alla possibilità di produrre livelli nuovi di varietà o complessità." (p. 75)
Ciò non solo può accadere, ma di fatto è già accaduto. L'evoluzione dell'universo dalla sua semplicità originaria alla complessità attuale, attesta che il suo essere caotico spesso determina "una transizione improvvisa verso un nuovo stato che può avere proprietà molto differenti" (p. 98): in molti casi "il sistema compie un balzo improvviso verso uno stato molto più elaborato e complesso." (p. 98) Fenomeni del genere sono stati scoperti in astronomia, in fisica, in chimica e in biologia. L'universo insomma sembra animato da un misterioso drive che utilizza gli stati lontani dall'equilibrio, e quindi caotici, per "organizzarsi in forme nuove e inaspettate" (p. 112) che, in virtù della loro complessità, lasciano affiorare qualità che non possono essere spiegate riduzionisticamente. L'universo è dunque autoadattante e creativo: in questo senso esso è intelligente in quanto sembra perseguire un progetto, incentrato sulla comparsa di strutture sempre più complesse.
4.
Le implicanze di questo nuovo paradigma a livello cosmologico e a livello microscopico - di particelle elementari - sono rilevanti. Ancor più rilevanti sono quelle a livello biologico.
Esse non comportano dubbi sull'evoluzione della vita scoperta da Darwin, bensì "contestano l'adeguatezza del meccanismo darwiniano, vale a dire le mutazioni casuali e la selezione naturale" (p. 141). La teoria di Darwin, in effetti, è probabilistica: ora, secondo alcuni scienziati, "la probabilità da sola è irrimediabilmente inadeguata a spiegare la ricchezza della biosfera. Essi postulano l'esistenza di alcune forze organizzatrici o principi guida aggiuntivi che incanalano i mutamenti evolutivi nella direzione di un miglior adattamento a livelli di organizzazione più sviluppati." (p. 143) Il fatto che la vita evolve è inconfutabile, ed evolve in una direzione specifica: l'aumento della complessità organismica. Come spiegare che, da un organismo unicellulare, un sistema complesso perfettamente adattato all'ambiente, essa sia pervenuta all'uomo? Non si dà che una risposta: "E' improbabile che le strutture complesse in biologia siano il risultato di eventi puramente casuali, un meccanismo che non è assolutamente in grado di spiegare la freccia del tempo evolutiva. Sembra assai più probabile che la complessità si sia manifestata in biologia in quanto parte dello stesso principio generale che governa la comparsa della complessità in chimica e in fisica, e cioè le improvvise transizioni non casuali verso nuovi stati di maggiore organizzazione e complessità che si verifica quando un sistema viene allontanato dall'equilibrio e incontra dei "punti critici". Non è necessario aggiungere qui influenze mistiche o trascendentali Ma è fondamentale comprendere che questi principi sono intrinsecamente globali, od olistici, e non possono essere ridotti al comportamento delle singole molecole, benché siano compatibili con il comportamento delle molecole stesse." (p. 149)
Il problema è che questi principi organizzatori, che occorre ammettere per trasformare in teoria "l'ipotesi che la materia e l'energia possiedano una tendenza naturale a subire transizioni spontanee verso nuovi stati di organizzazione e complessità più elevati" (p. 182), non sono ancora noti. Si è arrivati a pensare che esistano "leggi software", vale a dire "leggi che governano il comportamento dell'organizzazione, dell'informazione e della complessità" (p. 186) che "non possono essere logicamente derivate dalle "leggi hardware" di base che costituiscono l'oggetto della fisica tradizionale." (p. 186) Si è giunti ad ammettere l'esistenza di una causalità verso il basso, tale per cui "mentre unità più piccole si integrano e si aggregano in unità più grandi, esse originano regole nuove che a loro volta regolano e costringono i sottosistemi componenti a conformarsi al comportamento collettivo del sistema nel suo complesso." (p. 190) Nonostante gli sforzi finora effettuati non si è ancora pervenuti ad una teoria scientifica della complessità compiuta e universalmente accettata.
Se tutti gli organismi biologici sono complessi, non v'è dubbio che la complessità massima s'identifica con la comparsa dell'uomo, del cervello umano e della coscienza. Si pone a questo livello "la domanda se le funzioni mentali possono in ultima analisi essere ridotte ai processi fisici del cervello, e quindi alla fisica e alla chimica, o se esistano leggi e principi supplementari relativi alla mente che non possono essere derivati in modo meccanicistico dalla fisica della materia inanimata." (p. 235) Il rapporto corpo-mente rappresenta la maggiore difficoltà per la scienza: infatti, "da un lato si suppone che l'attività neurale del cervello sia determinata dalle leggi fisiche, come nel caso di una rete elettrica. Dall'altro, l'esprienza diretta ci spinge a ritenere che, almeno nel caso di azione premeditata, tale azione sia causata dal nostro stato mentale. Come può un insieme di eventi avere due cause?" (p. 244) Le risposte fornite sinora, sia quelle monistiche che vedono nei fenomeni mentali l'espressione diretta dei processi cerebrali, sia quelle dualistiche, che ammettono l'esistenza di un principio spirituale, non sono soddisfacenti. L'unica certezza è "che il cervello è un sistema altamente non lineare, soggetto quindi al comportamento caotico." (p. 244) Su questa base, i processi mentali possono essere assunti come espressivi di "proprietà olistiche di configurazione ancora da scoprire, ma che risulteranno essere differenti dagli eventi neurali che le compongono e a questi superiori" (p. 245) Tali forze o proprietà "esercitano un'influenza di controllo e di regolazione nella fisiologia cerebrale" (p. 245): in altre parole, "la mente (o lo schema collettivo di attività neurali) in qualche modo genera delle forze che agiscono sulla materia (i neuroni)" (p. 245)
L'esperienza cosciente individuale non è il culmine dell'organizzazione e della complessità presenti in natura: "vi è un'altra soglia da oltrepassare, che conduce nel mondo della cultura, delle istituzioni sociali, delle opere d'arte, della religione, delle teorie scientifiche, della letteratura, e così via." (p. 249) E' l'Universo 3 di Popper, che gode di una sua autonomia rispetto all'Universo 1 degli oggetti materiali e all'Universo 2 dei processi mentali. I sistemi dell'Universo 3 sono complessi, dinamici e in perenne evoluzione. La loro incidenza sull'Universo 2 è evidente, ed è la prova certa dell'esistenza di una causalità verso il basso.
La necessità di un nuovo paradigma olistico è dunque evidente per spiegare che "i sistemi fisici possono manifestare un cambiamento unidirezionale nella direzione del progresso piuttosto che del decadimento. L'universo appare ora sotto una luce nuova e più ispiratrice, progredendo dalla sua origine primitiva, un passo dopo l'altro, verso stati sempre più elaborati e complessi." (p. 254) Tale necessità non toglie senso al riduzionismo: "sarebbe un grave errore presentare il riduzionismo e l'olismo come irriconciliabilmente in conflitto. Essi sono in realtà due paradigmi complementari piuttosto che contraddittori." (p. 255)
L'unico problema è che, mentre il riduzionismo, nell'ambito di fenomeni lineari cui si è dedicato, è pervenuto a formulare leggi certe, quindi ad identificare le cause dei fenomeni stessi e le relazioni tra cause ed effetti, l'olismo, essendo più recente, è in ritardo sotto questo profilo. L'affermazione che "mentre la materia e l'energia raggiungono stati più elevati e complessi, emergono nuove qualità che non possono essere incluse in una descrizione di livello inferiore" (p. 255) è comprovata da un'infinità di fenomeni che sfuggono alla spiegazione riduzionistica, e pertanto richiedono, per essere spiegati, leggi di livello superiore. A riguardo, però, sinora, si danno solo ipotesi, e nessuna teoria esauriente. Questa lacuna può confortare i credenti, inducendoli a ritenere che essa non potrà mai essere colmata dalla scienza, poiché si riconduce all'esistenza di Dio, vale a dire allo Spirito che ha creato e informa la materia. La scienza riconosce tale lacuna, ma la riconduce ai suoi limiti attuali: essa rifiuta l'inconoscibile. Il mistero del Cosmo intelligente è ciò che non ancora è noto.
5.
Il saggio di Davies fornisce lo spunto per alcune considerazioni di qualche interesse.
Intanto, pur considerando che l'impostazione dell'autore è sostanzialmente equilibrata, non si può negare che il testo, oltre alla frase conclusiva che ho citato all'inizio, in più momenti comporta una certa ambiguità. E' vero che la scienza attualmente non è incompatibile con la possibilità che il mondo sia stato creato da un Dio e che esso evolva sulla base di un progetto trascendente. Davies però avrebbe dovuto aggiungere che non lo è ancora, nel senso che alcuni "misteri" sull'organizzazione della materia e della vita non sono stati risolti. Il giorno che le leggi che regolano i sistemi complessi saranno messe a fuoco, il credente, certo, potrà continuare a pensare che ciò attesta che l'uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, e che è il suo spirito, da Quegli creato, a permettergli la comprensione dei "misteri" cosmici. Chi non crede potrà giungere, invece, alla conclusione che il Cosmo è semplicemente intelleggibile, che non significa affatto ch'esso sia necessario e tanto meno significativo.
In secondo luogo, anche sul piano attuale, la compatibilità della scienza con la fede dipende da come si interpretano i risultati della scienza. La fisica quantistica, per esempio, a detta di alcuni scienziati, ha risolto il problema dell'Essere poiché essa comporta la possibilità che esso si origini dal Nulla.
In rapporto al "disegno" cosmico, poi, c'è da considerare che esso attesta indubbiamente un'evoluzione verso strutture e forme sempre più organizzate e complesse. Nella misura in cui quest'evoluzione avviene, però, sulla base del raggiungimento di punti critici (caotici) che comportano alternative equiprobabili, la sua casualità è fuor di dubbio. Se per ipotesi ammettiamo che si fossero realizzate tutte le possibilità alternative rimaste escluse, l'Universo sarebbe altro da quello che è. Nulla vieta di ritenere che quest'Universo alternativo sarebbe stato dotato di minore organizzazione e complessità di quello reale. E' evidente che questa semplice ipotesi confuta l'esistenza di un disegno trascendente. Essa potrebbe essere sormontata solo ammettendo che Dio è intervenuto in tutti i momenti critici dell'evoluzione cosmica. Ma allora che senso avrebbe l'avere Egli creato una materia dotata di un certo grado di libertà per costringerla poi ad evolvere in una direzione determinata?
La difficoltà di concepire una materia animata da un drive verso l'organizzazione e la complessità indipendentemente da Dio si riconduce un'antica tradizione culturale. Ma non è privo di significato storico che un'ipotesi del genere sia stata avanzata nell'ambito di una filosofia radicalmente atea. In due passi del libro, Davies fa riferimento a questo:
"Costituisce un interessante accenno storico il fatto che la dottrina del materialismo dialettico ritenga che nuovi principi di organizzazione divengano operativi mentre la materia raggiunge livelli più alti di sviluppo. Vi sono quindi leggi biologiche, leggi sociali, ecc. Queste leggi intendono assicurare l'avanzamento della materia verso stati di organizzazione sempre maggiore." (p. 156)
"Oparin attinse evidentemente alla filosofia comunista a sostegno del suo punto di vista sull'origine della vita: "Secondo il punto di vista del materialismo dialettico, la materia si trova in un costante stato di moto e procede attraverso una serie di stadi di sviluppo. Nel corso di questo processo si manifestano forme sempre più nuove, più complicate e più evolute, dotate di nuove proprietà che non erano presenti in precedenza"." (p. 187)
Engels ha dedicato un'intera opera a questo tema. L'opera è stata giustamente contestata sia sul piano filosofico che politico. Riletta oggi, cum grano salis, essa sembra anticipare gran parte delle tematiche della filosofia della complessità. Ciò significa, né più né meno, che non bisogna essere necessariamente religiosi o mistici per attribuire alla materia proprietà che la rendono "creativa".
Una seconda considerazione verte sulla coscienza. Nulla impone di pensare che la coscienza umana sia vincolata per natura ad un banale realismo che fa del mondo una collezione infinita di oggetti. Le culture primitive animistiche esprimevano già, sia pure in termini superstiziosi, una concezione del mondo olistica e globale. E' un fatto di cultura dunque che la coscienza contemporanea comune sia caduta nella trappola del realismo empirico. E' difficile imputare questa caduta alla scienza riduzionistica, che impone comunque il superamento della percezione in nome di un'astrazione che, sola, può portare ad identificare le leggi sottostanti i fenomeni naturali. Essa è piuttosto riconducibile al materialismo volgare intrinseco alla cultura borghese, che, per un verso, aliena l'uomo nell'oggetto (i beni materiali di cui egli deve essere perpetuamente desideroso), e, per un altro, rendendo la sua coscienza infelice, lo orienta paradossalmente verso forme di spiritualismo di ogni genere.
La necessità di un salto culturale è urgente. Non solo perché il nuovo paradigma della complessità, che si sta imponendo a livello scientifico, rischia, come è in parte già è accaduto, di alimentare una deriva confessionale (fondamentalista) e spiritualista che è già in atto. Se la natura è un insieme di sistemi complessi, anche la storia lo è, e la vita umana dipende meno dalla posizione che gli uomini assumono nei confronti del fatto che il Cosmo sia creato o no che da quella che assumono nei confronti della storia. Da questo punto di vista, accettare la complessità del reale storico implica lo sviluppo di una cultura globale che vada al di là dell'empirismo e dell'ottica privatistica, individuale. Se l'uomo è un sistema complesso, a maggior ragione lo è la società. Accettare questo fatto, significa contestare d'emblée il luogo comune, intrinseco all'ideologia liberale, per cui la società non esiste, essendo essa null'altro che la somma degli individui che la compongono. Se questo è vero, sfruttare le debolezze delle scienze umane e sociali di arrivare ad una teoria integrata dell'uomo e dei fatti umani, complementare a quelle delle scienze naturali in rapporto alla materia e alla sua organizzazione, proponendo l'orizzonte insormontabile del pensiero debole, è illecito.
Un'ultima considerazione riguarda l'ambito psichiatrico, che è governato attualmente da un paradigma riduzionistico esasperante nella sua banalità. Contrapporre ad esso un modello olistico è necessario. Se si vuole prescindere dal richiamo al rispetto della globalità dell'esperienza soggettiva, quel modello va però proposto in una forma scientifica. E' quanto ho tentato personalmente di fare edificando il modello psicopatologico struttural-dialettico, che è esplicitamente debitore della teoria delle catastrofi, la più potente tra le teorie finora formulate sui processi caotici, e che, a detta del suo autore, non è altro che la riscoperta della dialettica
Giugno 2004